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A cura di ETTORE PANELLA

 

Fate la pace, non fate la guerra!  La mediazione è un sistema in cui il professionista tanto più crea armonia e pace tanto più guadagna. Una vera rivoluzione culturale in un Paese che vive in una guerra civile perenne.

 

Confesso di aver passato un bel po’ di tempo a guardare un foglio bianco e a riempire il cestino di idee scartate.

Cos’è la mediazione è facile da descrivere in termini tecnici ma ogni volta che scrivevo qualcosa mi rendevo conto di non essere riuscito a catturare l’anima di questo argomento finchè una improvvisa reminescenza della giovinezza non ha squarciato il buio frustrante in cui mi dibattevo.

BEATI I COSTRUTTORI DI PACE!

Una frase che come tanti ho ascoltato a catechismo ai tempi ahimè lontani dell’infanzia. Una frase che forse solo adesso inizio a comprendere compiutamente.

La mediazione significa passare da un sistema basato sul conflitto dove più le controparti si fanno la guerra più i professionisti coinvolti guadagnano ad un sistema dove più le controparti fanno la pace più i professionisti guadagnano .

Pace anzichè guerra.
Prosperità piuttosto che macerie.

Ho passato ore a discutere con il dott. Pecoraro, (storico e tenace sostenitore della mediazione, presidente dell’associazione ANPAR presente su tutto il territorio nazionale con in suoi valenti mediatori).  Abbiamo trattato tutti gli aspetti della mediazione , sempre da un punto di vista tecnico, ma l’errore era proprio questo! La mediazione non va considerata semplicemente uno strumento efficace: la mediazione va considerata una vera rivoluzione culturale!

E’ questo il suo punto di forza, ma contemporaneamente di debolezza, perchè a fare resistenza e ad opporsi al suo successo non sono solo i professionisti, che sono cresciuti e hanno prosperato con l’attuale sistema, ma è soprattutto la natura della società italiana, più orientata a creare conflitti che a risolverli; dove ognuno è, per motivi “esoterici”, contrapposto a qualcun’altro; dove addirittura gli abitanti di una città sono “visceralmente nemici” degli abitanti della città
situata a pochi chilometri di distanza.

E veniamo al mediatore, che non è un arbitro o un giudice e il cui scopo non è stabilire chi ha ragione, imponendo le sue decisioni in virtù dell’autorità che gli è stata conferita, quanto piuttosto, ascoltare tutti, facendosi promotore di una soluzione che vada bene a tutti.
Il mediatore vince solo se vincono tutti!
Come un arbitro o un giudice che parteggia per una parte a scapito dell’altra commette un crimine, così un mediatore che facesse altrettanto sarebbe solo uno stupido che ha sbagliato mestiere e che non riuscirebbe mai a creare un buon accordo proprio perchè,a differenza dell’arbitro o del giudice che vive di un’autorità calata dall’alto, il mediatore vive solo della sua autorevolezza.

Tanto per banalizzare con un esempio: supponiamo che, in virtù delle leggi esistenti, in un’ ipotetica contesa, Pasquale abbia diritto ad una penna, mentre a Nicola spetti una caramella, ma che il primo sia analfabeta e il secondo diabetico. Il mediatore proporrà lo scambio.
Facile?
Mica tanto! Magari il valore dei due oggetti è diverso, magari i due si odiano e preferirebbero farsi del male piuttosto che fare un favore
all’altro, magari …
La difficoltà è proprio questa, saper gestire conflitti che non dipendono dall’oggetto del contendere, quanto piuttosto  dalla natura umana.
L’intelligenza emotiva fa obbligatoriamente parte del bagaglio del mediatore.

Un popolo che viva un conflitto interno perenne è destinato a crollare e a chiedere allo straniero, capace di controllarlo e guidarlo, di intervenire
per risolvere i problemi che da solo non riesce ad affrontare. L’Italia si avvicina sempre più pericolosamente a questo punto di non ritorno. Per il
nostro bene speriamo che i costruttori di pace siano all’altezza dell’ingrato compito che li aspetta.